domenica 28 febbraio 2016

Qualcuno la chiama “decrescita felice”


Recuperare ritmi di vita più sostenibili e più umani. Ma perché è così difficile? Di chi è la colpa, ammesso che una colpa esista effettivamente?
Quale che sia la ragione, comunque, più passano gli anni e più mi convinco che la media della gente lavori troppo. E che questo complichi la vita a tutti. Peccherò di presunzione nel dirlo, ma sono davvero convinta che molti dei nostri problemi vengano da lì.
Coppie che passano insieme al massimo un’ora al giorno, a tarda sera, con sulle spalle la stanchezza  di una intera, estenuante, giornata di lavoro. Coppie obbligate a relegare al fine settimana le passeggiate, l’ozio, le discussioni, l’amore (sempre che restino tempo ed energia dopo tutte le incombenze accumulatesi durante la settimana). Coppie che aspettano sempre di “avere un po’ di tempo” per fare qualsiasi cosa, e che quando alla fine lo trovano, rischiano di sprecarlo in un centro commerciale, spendendo in acquisti tutto sommato superflui i soldi guadagnati con sacrificio nelle ordinarie giornate di super-lavoro.
Giovani rampanti che non riescono a trovare due ore a settimana per andare al cinema. Che non leggono un libro da anni, eccettuate le letture di lavoro. Che chiamano, e lo fanno con sincerità, “amici” i propri colleghi, i clienti, i sottoposti, che spendono i soldi dello stipendio in accessori, detti tecnologici,per essere sempre al passo con i tempi, con la modernità.Ma di quale modernità si parla?Che sgobbano un anno intero per consumare in una settimana frettolosa – tra spiagge affollate e aperitivi costosi - la propria ora d’aria annuale, anche solo per il gusto di pubblicare un selfie di soddisfazione.
Genitori che stanno insieme ai figli piccoli solo a tarda sera. Che cercano di recuperare in due ore il vuoto di una intera giornata, gettandosi stremati su un tappeto o concedendo sprazzi di attenzione tra la cena da preparare e i piatti da lavare. Che si raccontano la favola rassicurante della “qualità” per negare a se stessi che di vita in famiglia, ne resta veramente poca..
Della rinuncia ad anni fuggevoli che non torneranno mai. Dei momenti non vissuti, dei progressi fotografati, delle piccole magie giornaliere raccontate da altri. Della fatica quotidiana di inseguire le ore e moltiplicare i minuti, della corsa disperata e ininterrotta per “fare tutto” senza perdere troppo.
Non nego che per qualcuno – per molti, forse – sia proprio questa la “felicità”, ma sono disposta a scommettere che molta gente sarebbe più soddisfatta se le venisse consentito, o se si consentisse, di rallentare, di ridurre, di “diminuire”.
Imporsi di rallentare, di accontentarsi, per usare una parola che suona sempre più come una bestemmia. Di rinunciare a qualcosa in cambio dell’unico capitale inestimabile che nessuna carta di credito può comprare: il tempo.

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